Indefiniti e disuguali by Matteo Bottone

Indefiniti e disuguali by Matteo Bottone

autore:Matteo Bottone [Bottone, Matteo]
La lingua: ita
Format: epub
editore: EEE
pubblicato: 2022-12-31T22:00:00+00:00


Cosa devo fare per... Bimba mia la cultura non paga, non paga mai. Dovrai riuscire a veleggiare anche quando non ci sarà il vento. Mi guarda come un ateo al quale dici che Dio esiste.

A volte sono loro madre, padre, amico o fratello.

La campanella suona, il trillo elettrico soffocato ci ricorda che anche quella giornata è terminata. Allontanandomi li vedo, si muovono a gruppetti, l’immancabile sigaretta accesa per travestirsi da ciò che ancora non sono, tradendo la loro giovinezza.

Due si baciano teneramente, poi corrono presi per mano; che belli che sono.

Mi lascio commuovere. Chissà cosa si son promessi.

Dall’autobus c’è chi con il gesto della mano mi saluta. Ciao ciao.

Ritorno a casa.

Mi annoio facilmente, detesto la banalità, la stupidità degli ottusi e le menzogne arroganti del potere. Dà nausea lo squallido balletto degli amici degli amici sempre pronti a salire, senza un minimo di dignità, sul carro dei vincitori.

Costruisco, giorno dopo giorno, la via che mi possa condurre alla porta per l’altrove, dove poter guarire con la medicina per l’anima mia.

Sono incapace di restare a lungo da solo.

I compiti in classe sono sul tavolo, devo correggerli.

Nascono da allievi che sanno muoversi sulla rete multimediale con disinvoltura ma non leggono. Non sanno leggere. Spesso impotente mi accorgo che non hanno parole, nei loro testi leggo spesso la parola “cosa” ripetuta all’infinito.

Per loro tutto è “cosa”. Facendo così, limitano fortemente il loro orizzonte. Che importa. Saranno lo stesso uomini e donne e dovranno fare i conti tra la realtà e le loro speranze.

Vorrei essere capace di insegnare ad amare quel che non è. Compito arduo.

Leggere, scrivere e ancora, e ancora...

Vedere senza guardare.

Ci vuole applicazione per non essere comparsa di se stessi. A volte, le cose si fanno con malagrazia naturale. Il lavoro dell’insegnante è a dir poco delicato, non permette improvvisazioni. Mi chiedo spesso di poter cullare il senso del dovere che mi attanaglia non permettendomi di, per così dire, giocare d’azzardo. Forse, avverbio indispensabile. Necessario per tenere sospeso il dubbio.

Non è sempre vero quel che sembra.

Un giorno di fine estate, una ancora tiepida luce di settembre dava respiro alle mie ansie e mi consentiva di costruire con poche parole decise l’incipit del mio ultimo libro.

“Noi vediamo solo ciò che conosciamo” ecco le parole del genio tedesco che spalancavano le porte dell’immaginazione. Negando tutto ciò che vuole nella razionalità il fulcro della conoscenza.

Come sono distanti anni luce le frenesie della creatività.

Dal cellulare “le note” della suoneria, la musica del maestro Morricone. Sono le note iniziali del tema Gabriel’s oboe colonna sonora di Mission.

Sul display compare il nome di mio figlio. Rispondo. Sentire la sua voce mi tranquillizza in questo futuro che dovrà venire.

Donare ciò che posso salendo impervie scale che conducono a stanze nelle quali è difficile rimanere padri.

“Papone” mi chiama, e vorrei essere chiamato così per mille anni ancora. Figlio mio, carne e sangue della mia carne, il mio sangue. Una sola voce, esistenza e orizzonte del prolungamento delle mie radici.

In una fotografia in bianco e nero leggermente seppiata molto intensa e bella l’ho ritratto con mio padre, di profilo, le due teste vicine quasi appoggiate.



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